Nel contesto di WHITE CARRARA 2023 si presenta una mostra di sei fotografi, in dialogo tra loro sul concetto di scultura, con un video a firma di Andrea Botto.
Sei modi di vedere e raccontare la versatilità di un materiale antico e affascinante come il marmo, sempre vivo e multiforme, attraverso l’interpretazione delle loro ‘visioni plastiche’.
La plasticità nelle arti figurative è la qualità di un’opera di articolarsi nello spazio, in maniera più o meno spiccata. Il termine, in senso reale, è inteso come capacità di dare corpo a una forma tridimensionale, tipica della scultura. In senso illusorio, è inteso come la capacità di ricreare un effetto di rilievo che in pratica non esiste. Tramite vari stratagemmi, in pittura ad esempio con il chiaroscuro o tramite l’oculata variazione degli spessori nei bassorilievi, si può ottenere un senso di plasticità anche con i soli giochi di luci ed ombre che, se osservati frontalmente, danno la sensazione di tridimensionalità. Un esempio tipico è lo stile di Donatello, denominato “stiacciato”.
La fotografia, che disegna per natura con la luce e lavora sulla profondità di campo, non è da meno nell’interpretare questa splendida arte che è la scultura. Possiamo ammirare così immagini di membra e profili di marmo che sembrano invece corpi in carne e ossa, proprio grazie a quei giochi plastici di luce e inquadratura (Bruno Cattani). Vediamo imponenti statue, ricoverate nei magazzini dei musei inglesi e coperte da teli di plastica, simbolo di protezione, ma anche di quell’isolamento fisico ed emotivo che abbiamo subito durante il Covid (Simon Roberts). O ancora, raffinate doppie esposizioni fotografiche sovrapposte di opere antiche, busti o ritratti scultorei nel tentativo di dare visivamente corpo all’“aura”, il valore cioè intrinseco dell’opera d’arte che la rende preziosa in sé, al di là del materiale usato (Carolina Sandretto). Fino a tornare, strano a dirsi per una mostra fotografica, alla fisicità scultorea, in un perfetto bilanciamento tra la bidimensionalità dell’immagine e la tridimensionalità del marmo nelle opere di Dune Varela. Grazie a Giacomo Infantino ci addentriamo invece nel cuore delle Alpi Apuane dove si trovano le cave. Luoghi dal tempo sospeso da cui è estratto il marmo, prima ancora che le sapienti mani dell’artista lo trasformino. A completare questa mostra, un video di Andrea Botto, artista che da circa quindici anni realizza fotografie e video di esplosioni, confrontandosi con i processi di trasformazione della materia e del paesaggio, temi che dialogano in modo potente ed evocativo con l’installazione in legno e cemento di Stefano Canto.
Non solo dunque fotografie intese come semplice documentazione di statue, bensì sei differenti modi di interpretare il tema scultura con diverse visioni plastiche.